La noia è la parola del momento. Per molto tempo mi sono chiesta quale fosse il motivo per cui la noia dei figli facesse così paura ai genitori, nonostante sia ormai chiaro che i momenti morti nei bambini sono una grande opportunità di sviluppo sia cognitivo ma anche sociale.
Già nel 2020 abbiamo scritto sul blog insieme alla psicologa Cristina Minotti Il potere della noia nei bambini partendo dall’apprensione che i genitori hanno nel riempire le giornate dei bambini per paura che questi possano annoiarsi. In quell’articolo la dott. ci ha illustrato come affrontarla al meglio con i più piccoli.
La paura della noia ci porta ad approcciarci ai bambini in maniera completamente sbagliata:
- ci spinge a riempire le loro giornate con attività che possono stancarli o non interessarli abbastanza;
- ci fa credere che più giochi hanno e meglio trascorrono il loro tempo;
- ci porta a cercare soluzioni facili e immediate come l’offerta dei dispositivi elettronici illudendoci di fare bene ad intrattenerli.
Ma perché agli adulti fa così paura la noia?
Per capire meglio perché la noia fa così paura dobbiamo partire dalla parola stessa. Il termine sul vocabolario ha una connotazione negativa, associata ad uno stato d’animo sgradevole e in generale la si associa alla malinconia, alla monotonia e al senso di vuoto.
Dal punto di vista psicologico ci sono numerose ricerche che ci aiutano a capire l’esperienza della noia, che generalmente è associata ad altre emozioni, come la rabbia, l’ansia, l’irritabilità e la tristezza.
Per alcuni la noia ha una funzione specifica, ovvero quella di spingerci all’azione per cercare soluzioni che portano un cambiamento rispetto al nostro stato d’animo attuale.
Quando siamo annoiati di solito abbiamo un’alta percezione di monotonia e una bassa attenzione a ciò che ci circonda, oltre che tendiamo a non dare valore a ciò che dovremmo fare, ma può capitare anche che ci accorgiamo di abbassare il nostro livello di autocontrollo e di autoregolazione delle emozioni e dei comportamentali. Pensiamo a quando ci sentiamo svogliati, distratti e stanchi, e non avendo molto autocontrollo ci perdiamo nel mondo di internet e di social molto più facilmente rispetto a quando abbiamo degli interessi ragionevoli e concreti.
Dobbiamo essere bravi ad intuire il confine tra una noia momentanea, relativa ad un’attività che non ci appassiona o che siamo costretti a fare, e una noia più strutturata, quotidiana, che non ci permette di trovare alternative e che può significare un malessere più grande.
Nuove ricerche che condotte in Italia identificano la noia come una vera e propria emozione che, in quanto tale, è bene accoglierla perché ci sta dicendo qualcosa.
Noi adulti per primi tendiamo erroneamente a trovarvi rimedio attraverso l’uso dello smartphone e tendiamo a fare lo stesso con i bambini piccoli.
Anzi, ricerche condotte in Europa dimostrano come la noia ci spinga ad utilizzare di più i social con il risultato che quando finiamo di starci sopra siamo più stanchi e annoiati di prima.
In realtà la noia può essere uno strumento per darsi del tempo e per mettersi in ascolto, cercando di capire cosa non va e valutando soluzioni alternative per cambiare lo stato delle cose.
Qualche disposizione genetica
Curiosi gli studi ancora in corso che stanno valutando la noia anche su basi genetiche: sembra che le persone che tendono ad annoiarsi di più hanno maggiore instabilità emotiva. Ma non solo: sembra che le donne adulte siano meno propense ad annoiarsi per via del maggiore autocontrollo raggiunto in età adulta e perché cercano conforto nelle esperienze positive passate.
Cosa fare con i bambini
Anche la noia, come le altre emozioni, e tutte le conseguenze che comporta, sono esperienze che i bambini assimilano attraverso l’esperienza.
Talvolta non basta vietare l’uso dei dispositivi al bambino perché lui abbia interesse o curiosità verso lo stesso. Questo dimostra quanto i nostri comportamenti da soli possono aiutare o danneggiare i nostri figli.
Per aiutare davvero i bambini nell’esperienza della noia dobbiamo noi per primi essere in grado di riconoscerla ed avere gli strumenti per gestirla al meglio.
Solo così possiamo accompagnare i più piccoli a riconoscerla, accoglierla, trovare le strategie per superarla, potenziando la pazienza, ma soprattutto educando alla resilienza.
Il supporto delle relazioni aiuta a dare senso al nostro sentire e agire in un processo cognitivo fondamentale.