Il dialogo e la comprensione tra adulti e bambini è sempre complicato.
Questo è uno dei tanti spunti di riflessione che è emerso in un incontro di qualche tempo fa con i genitori di Pennamagenta durante il quale si parlava di emozioni nei bambini.
Le emozioni nei bambini
Si legge e si sente spesso parlare di emozioni nei bambini, ma in quel caso si discuteva su come riconoscerle e trattarle in momenti particolari dell’infanzia e dell’adolescenza; e dopo la solita ora di confronto, devo dire anche molto costruttivo e interessante, è risultato chiarissimo un concetto su cui tutti eravamo d’accordo: per capire i bambini bisogna mettersi al livello dei bambini.
Una frase che sembra banale ai più perché presuppone una consapevolezza e una conoscenza del mondo dell’infanzia e delle dinamiche familiari che probabilmente a chi vive in maniera quotidiana i più piccoli e talvolta le dinamiche familiari in maniera stressante può assolutamente sfuggire.
Il rapporto tra adulto e bambino
Partiamo da una grande verità: il rapporto tra adulto e bambino è un dialogo a due vie che non prevede la reciproca consapevolezza.
Cosa voglio dire: l’adulto, ecco sia il genitore o il tutore del bambino, ha un’esperienza e una consapevolezza fisiologica che è di gran lunga diversa rispetto al bambino. Dunque un adulto conosce e capisce dinamiche che per un bambino sono fisiologicamente impossibili.
Questo è un primo passaggio che presuppone l’impegno da parte degli adulti, e solo da parte degli adulti, di costruire un dialogo che sia a misura di bambino, cosciente del fatto che il bambino non potrà mai comprendere le cose come un adulto.
Il bambino deve essere trattato da bambino! Non esistono bambini grandi, non esistono bambini maturi. Esistono bambini vivaci e birbanti, e bambini più timidi e lenti. Ma anche quando i bambini dimostrano una propensione all’empatia e alla riflessione, hanno tutto il diritto di essere trattati da bambini, con la leggerezza e la spensieratezza propria dell’infanzia, che serve a loro per apprendere e comprendere il mondo che li circonda con la giusta misura.
Il bambino deve essere trattato come soggetto pensante e mentalmente autonomo. Al contrario di prima, non esistono bambini che in maniera tipica, non possono, non riescono o non sono capaci a fare una cosa. I bambini possono tutto quello che è nelle loro capacità fisiche e cognitive e nessuno può misurare a priori le abilità di un bambino se non se stesso, facendo esperienza diretta dei propri limiti e dei propri facoltà.
Riusciamo, dunque, a comprendere realmente i bambini quando entriamo concretamente nel loro mondo.
“Cristina come si fa?”

Me lo sono sempre chiesta anche io nei primi anni della mia professione. E ci ragiono tutti i giorni nel mio studio. Come faccio a scorgere la dimensione dell’altro?
Più parlavo con i bambini e più capivo. Immettersi nel mondo del bambino non vuol dire rinunciare alla nostra dimensione di adulto. Significa, invece, decentrarsi mettendo da parte le nostre certezze, i nostri schemi mentali ormai organizzati e definiti per essere pronti a svolgere un’azione essenziale: ascoltare.
Non possiamo comprendere un universo differente dal nostro senza fare silenzio. Il silenzio ci dona uno spazio mentale per mettere in pausa il nostro pensiero su di noi e per iniziare a vedere e comprendere chi ci sta di fronte.
E se questa persona è un bambino teniamoci forte, una grande avventura sta per iniziare!
Parlo di avventura perché appena doniamo ai bambini il nostro tempo e la nostra attenzione loro ci coinvolgono subito con la loro sensibilità e fantasia. Ogni bambino con il suo temperamento e il suo modo di comunicare ci fa immergere nel suo mondo fatto di prime esperienze, emozioni, paure, sfide, domande e curiosità!
Da Psicologa vivo questa esperienza durante ogni incontro con i più piccoli.
Un giorno venne nel mio studio G. , una bambina di 7 anni. I genitori non riuscivano a capire il motivo della sua opposizione ad ogni regola proposta dalla famiglia. Erano esausti. Affaticati. Ogni regola degenerava in una guerra con pianti e bronci. Il rischio era quello di logorare giorno dopo giorno il rapporto.
Iniziai con i genitori un percorso sulla genitorialità parallelo agli incontri con G.
Ogni volta che parlavo con la bimba mi accorgevo della vera natura della sua opposizione. G. era molto sensibile e attenta. Iniziai a chiedermi: “Cosa nascondono veramente i suoi NO?”. Più le offrivo uno spazio calmo per ascoltarla e più lei raccontava i suoi pensieri e le sue incertezze. Era sensibile e curiosa. Non si accontentava di una spiegazione semplice. Voleva capire le motivazioni alla base. La sua fantasia la guidava in ragionamenti stupendi che avevano bisogno di essere accolti. G. aveva bisogno di essere ascoltata e compresa. Non odiava le regole. Tuttavia, non sopportava l’assenza di spiegazioni. Non tollerava lo stop poco delicato delle sue attività fantasiose. Durante il percorso con i genitori abbiamo lavorato proprio sulla comunicazione efficace con G.
Per comprenderla non avrebbero dovuto abbassarsi a lei, ma elevarsi alla sua sensibilità e fantasia. Un passo decisivo è stato quello del lavoro sulla “parte bambina” di ogni adulto, a volte addormentata e nascosta. Questo nostro lato ci può guidare nel dialogo con i bambini ricordandoci che anche noi abbiamo vissuto quelle tappe di sviluppo fatte di giochi, sorrisi, ma anche di delusioni e timori.
L’ascolto attivo può aiutare l’adulto a comprendere le sfumature dei vissuti dei più piccoli. È una metodologia introdotta da Thomas Gordon e ha come scopo quello di implementare una comunicazione autentica ed efficace basata sull’apertura mentale senza giudizi. La chiave è l’empatia.
A questo punto vi svelo un altro segreto per entrare nel mondo dei bambini: rinunciamo alla velocità per arrivare a delle conclusioni. La calma e l’ascolto ci presentano le emozioni più autentiche in modo da creare aspettative realistiche e in linea con lo sviluppo dei bambini.
I bambini ci offrono opportunità e ci invitano quotidianamente a sorprenderci insieme a loro nella loro autenticità!